Manuel Grimaldi e il vino: «Amo il rosso ma per il varo delle navi solo champagne»

«Brindo al Mezzogiorno e alla mia città: ho girato il mondo, le mie navi vanno ovunque, ma sono sempre tornato qui»

Manuel Grimaldi
Manuel Grimaldi
di Maria Chiara Aulisio e Gerardo Ausiello
Venerdì 22 Marzo 2024, 12:00 - Ultimo agg. 18:00
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Senza doverci pensare troppo a lungo Manuel Grimaldi, il re delle navi, ci ricorda subito il maestoso e imperiale Riesling. Con questo bianco così singolare, che raggiunge straordinari livelli di qualità e unicità nella Mosella e nell'Alsazia, a lungo contesa tra Francia e Germania, l'armatore e patron di una flotta di oltre cento navi ha in comune il carattere, l'identità, la persistenza e la resilienza. Tutte proprietà che accrescono il carisma di un vitigno capace di dare grande soddisfazione senza essere troppo impegnativo dal punto di vista della gradazione alcolica (che oscilla tra i 9 e i 12 gradi) ma con un bouquet olfattivo che lo rende inimitabile per l'inconfondibile sentore di idrocarburi.

Se fosse un rosso, invece, Manuel Grimaldi sarebbe certamente un Super tuscan ovvero uno di quei vini prodotti in Toscana ma che non rientrano nella classica tipologia delle bottiglie plasmate in quel territorio. Soprattutto perché tra i vitigni adoperati non c'è il Sangiovese, bandiera della Toscana. Viceversa i Super tuscan nascono grazie a un blend di vitigni internazionali con taglio bordolese: Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc. È ciò che avviene ogni giorno in quell'incredibile fucina vitivinicola rappresentata da Bolgheri.

Già, ma perché Grimaldi somiglia così tanto a un Super tuscan? Essenzialmente per una caratteristica su tutte: il suo spirito di ribellione e libertà che nella lunga e soddisfacente carriera lo ha portato a vedere le cose sempre dal suo particolare punto di vista contrastando spesso gli ordini precostituiti e i sistemi apparentemente inviolabili.

Non è un caso che l'armatore ami perdutamente animali straordinari che nascono liberi e talvolta indomabili come i cavalli. 

«Fermo, rosso, possibilmente campano». 

Il varo delle navi però lo fa con lo champagne.
«Certo. È un rito obbligatorio. Altrimenti porta male: non scherziamo su queste cose».

Dicono che quando hanno battezzato” la Costa Concordia, poi naufragata nel 2012, la bottiglia non si ruppe.
«Confermo. Per gli uomini di mare è il peggio che possa accadere: un segnale nefasto».

È mai successo alle sue navi?
«Una volta, parecchi anni fa, feci finta di niente fidando sulla buona sorte».

Torniamo al vino rosso.
«Ripeto: fermo e meglio se campano».

Preferenze?
«Quello che produce la mia amica Nunzia De Girolamo, nel cuore dell'Irpinia, lo trovo ottimo. I tre rossi di Quintodecimo pure sono di qualità. A volte mi chiedo perché si sta tanto dietro ai vini francesi quando riusciamo a essere anche più bravi. Parlo della Campania ma in generale della produzione enologica italiana».

Forse perché loro sanno vendersi meglio?
«Senza dubbio. I francesi sono bravissimi nel marketing. Negli Stati Uniti, tanto per fare un esempio, il vino italiano è considerato un prodotto genuino e di qualità; il vino francese viene classificato come "produzione di pregio" per il quale diventa accettabile spendere di più».

Buono è buono.
«E chi lo mette in dubbio, anzi aggiungo che in alcuni casi i vini francesi sono straordinari ma la loro abilità è quella di riuscire a farli apparire esclusivi incassando il doppio».

Il suo momento migliore per aprire una bottiglia?
«La sera. Esagerare non è mia abitudine ma un calice a cena lo bevo volentieri, in compagnia poi diventa imprescindibile. Ho una discreta cantina in ogni casa, Napoli, Roma, Capri: di vino ne ricevo tanto anche in regalo».

Non c'è dono migliore.
«Sempre gradito. Mi consente di provare bottiglie che provengono da ogni parte del mondo e scoprire che in Paesi dove non lo avresti mai detto si producono eccellenti qualità».

Qualche esempio?
«Se non avete mai bevuto il vino di Santorini vi consiglio di farlo. Molto buono anche quello di Creta ma più in generale direi che la Grecia vanta un ottimo bianco».

Non a caso è uno dei più antichi produttori al mondo.
«Oltre a essere uno dei massimi esportatori di viti della storia. In Italia, ancora oggi, possediamo vitigni autoctoni la cui provenienza deriva proprio dal mondo ellenico. Volendo scomodare la mitologia fu Dionisio, il dio greco del vino, a rivelare agli uomini i segreti per produrlo».

Più che un semplice appassionato di vino sembra un vero cultore. Ha mai pensato di produrlo?
«Qualche volta la tentazione l'ho avuta ma ho sempre desistito».

Perché?
«Faccio parte di quella categoria di persone convinta che le cose o si fanno bene o è meglio lasciar perdere. Preferisco dedicarmi all'olio e ai cavalli, la mia passione. Ne ho quasi cento, l'ultimo puledro è nato dieci giorni fa, si chiama Hermès, una meraviglia».

Ha detto che produce olio?
«Nelle degustazioni viene considerato uno dei migliori, abbiamo vinto anche un premio per la bellezza della bottiglia. Lo produco nella mia tenuta nella Tuscia Laziale, sulla collina del Mascherone, ne facciamo solo qualche migliaia di bottiglie da condividere con gli amici».

Poco ma di grande qualità.
«In tutto ciò che si fa l'obiettivo deve essere uno: arrivare al massimo. La Ferrari produce 10mila auto e vale più di Stellantis che arriva a 5 milioni».

Torniamo al vino. Se Manuel Grimaldi fosse un bianco secondo noi sarebbe un Riesling dell'Alsazia o della Mosella, per il suo carattere resiliente. Se fosse un rosso decisamente un Super tuscan dallo spirito ribelle.
«Il Riesling è strepitoso insieme con i bianchi del nord est. E poi Sassicaia, Tignanello, Solaia, Ornellaia, garanzia assoluta. Con una caratteristica: non mi danno fastidio allo stomaco, il mio punto debole».

Chiudiamo con un brindisi. A chi lo farebbe?
«Al Mezzogiorno e alla mia città. Ho girato il mondo, le mie navi vanno ovunque, ma sono sempre tornato qui: è difficile trovare tanta bellezza. Abbiamo un potenziale enorme, va solo indirizzato nel verso giusto. A cominciare dal vino».

Cantina Grimaldi.
«Sorrido perché l'idea mi piace e qui nel Lazio ho appena comprato altri 200 ettari di terreno».

Il vino di don Manuel.
«Perché no. Come quello del Marchese del grillo prodotto proprio sulla collina del Mascherone». 

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