Una nuova pagina della sfida globale ai regimi autocratici

di Carmine Pinto
Giovedì 18 Aprile 2024, 23:34 - Ultimo agg. 19 Aprile, 06:03
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Il G7 di Capri si è aperto in nome della pace, ma con una agenda interamente dedicata ai conflitti in corso. Non a caso, ci sono anche il segretario della Nato Jeans Stoltemberg e il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba.

Il governo italiano presiede uno dei passaggi più delicati degli ultimi decenni. Con la guerra in Ucraina, il G7 è stato uno dei principali livelli di coordinamento delle potenze democratiche. Nulla a che vedere con le sue ragioni fondative macroeconomiche. Nel golfo di Napoli, il dibattito si concentra sulla sfida globale tra i regimi autocratici e le democrazie di confine (Ucraina e Israele) affiancate da alleati liberali (come il G7).

Sul tavolo di Capri ci sono questioni cruciali. Innanzitutto, si cerca di capire come sanzionare l’Iran (dopo le prime misure di Usa e Gb). Con l’attacco a Israele, Teheran ha cercato di cambiare i rapporti di forza in Medioriente. Si tratta di continuare a sostenere gli israeliani, senza rompere la grande svolta geopolitica realizzata con gli accordi di Abramo. Infatti, l’equilibro tra Israele e i paesi arabi sunniti ha retto all’assalto del 7 ottobre, alla guerra di Gaza e ora ha isolato l’Iran. Salvare questo schema, per il G7, significa aprire una nuova pagina per la stabilizzazione della regione e soprattutto per la costruzione di un sistema di alleanze innovativo nel futuro. In secondo luogo, c’è il tema del sostegno all’Ucraina. La crisi degli aiuti è al centro del dibattito. Il patto di Ramstein, l’alleanza tra le democrazie mondiali per gli aiuti militari e finanziari a Kiev, aveva retto per un anno e mezzo. All’inizio del 2024 sono venuti fuori due complicati punti di crisi: la divisione nel sistema politico americano (con un settore ostile all’impegno filo ucraino) e la debolezza del sistema militare-industriale europeo. Il G7 deve contribuire a superare lo stallo, garantendo all’Ucraina la difesa aerea e il munizionamento per contrastare la macchina da guerra putiniana, rinnovando allo stesso tempo pensiero e capacità operative militare-industriali occidentali.

Il tema dei beni sovrani russi è il terzo all’ordine del giorno. Qualche settimana fa si è chiesto espressamente alla presidenza italiana di governare questo processo, utilizzando le enormi risorse conservate nelle giurisdizioni euro-atlantiche, con il fine di sostenere lo sforzo e la ricostruzione dell’Ucraina. A fronte di una possibile spesa di mezzo miliardo di dollari, per la rinascita del paese distrutto dall’aggressione putiniana, la scelta del G7 di mettere mano ai fondi sovrani ha un doppio significato. Utilizzare almeno una parte delle risorse per garantire Kiev e, contemporaneamente, dare un messaggio ai russi che si può andare oltre le sanzioni, per colpire i loro interessi.

Infine, c’è la grande questione politico-ideologica della disinformazione. I russi, come le altre autocrazie globali, hanno rinnovato le lezioni della Guerra fredda e della guerra asimmetrica. Hanno investito sulle false notizie dei social e dei media, sulla confusione costruita dai commentatori compiacenti di talk show, sugli slogan antiliberali di intellettuali ed attori politici mascherati, sugli stereotipi antioccidentali o antisemiti di minoranze rissose ed aggressive.

Il G7 ha così assegnato alla guerra delle idee una sua centralità: in una società libera, il peso dell’opinione pubblica è decisivo per la legittimità dei governi, quanto per sostenere la difesa stessa delle istituzioni democratiche.

Il G7 di Capri non ha nulla a che vedere con quello che si formò nel 1971. All’epoca si concentrò sulle politiche che dovevano gestire le conseguenze del Nixon shock, la fine del regime di cambio fisso, e sulla crisi energetica, con la recessione che seguì. Il G7 però ha superato definitivamente anche la strategia post Guerra fredda: l’idea di una stabilizzazione e democratizzazione globale, basata sull’integrazione politico-economica di Russia e Cina. Questa politica, tra il 1998 e il 2001, si basò su una doppia scelta di valore storico. La prima fu la costituzione del G8, allargando alla Russia il vertice dei leader dei Paesi industrializzati (1998), pensato come un luogo di riconoscimento e dialogo permanente con un paese uscito a pezzi dal crollo del comunismo. La seconda fu l’ingresso della Cina nel Wto (World Trade Organization), con l’obiettivo di aprire l’immenso mercato del paese, scambiandolo con una politica che consentì ai cinesi di accedere a tutti gli strumenti tecnologici, industriali e finanziari del capitalismo globale.

Una politica con un esplicito sottofondo generale, l’idea che il successo economico avrebbe garantito un processo di liberalizzazione interna dei due paesi, con la conseguente garanzia di stabilizzazione globale. Questo disegno strategico fu consentito dall’entusiasmo per il fallimento del comunismo, con la conseguente convinzione dell’inevitabilità della società aperta, liberale e capitalista. Invece, dopo la prima sveglia sancita dall’esplodere del fondamentalismo islamico, è giunta la doppia sberla dell’autocrazia globale. Tra il 2014 e il 2020 il primo attacco russo all’Ucraina, le politiche repressive della Cina nel paese e ad Hong Kong, gli interventi putiniani in mezzo mondo, le accuse a Pechino del mancato rispetto di accordi del Wto hanno sancito il fallimento del sogno liberale. Nel 2022-2023 ha poi o preso forma un asse delle autocrazie mondiali, esplicito nell’alleanza tra Russia e Iran. Hanno scatenato la guerra in Europa e la crisi in Medio Oriente con un esplicito programma imperiale. Sullo sfondo, l’alleanza di entrambi con la Cina rende inevitabile un aggiornamento dell’agenda delle potenze democratiche globali. Si prepara così un passaggio storico, basato sulla verifica delle capacità di rinnovamento di un G7 (e dei suoi alleati) che ancora detengono la maggiore forza economica e militare globale. A Capri si discute della guerra, ma sullo sfondo ci sono i valori morali e politici della democrazia liberale, della sua capacità di adeguarsi alle grandi sfide della nostra epoca e di tutto il XXI secolo.

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