I magistrati alla ricerca del consenso

di Tommaso Frosini
Mercoledì 17 Aprile 2024, 23:16 - Ultimo agg. 18 Aprile, 06:58
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Il Consiglio superiore della magistratura può sembrare un ufo, un oggetto costituzionalmente non meglio identificato. Qualcuno azzarda la definizione di organo di rilievo costituzionale, ma quella che meglio gli si addice è organo di alta amministrazione. Perché la Costituzione (e le leggi attuative) attribuisce al Csm un complesso di funzioni la cui natura amministrativa è indiscutibile.

Basta leggere l’art. 105: «Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati». Questo, e soltanto questo, è quello che dice la Costituzione a proposito delle funzioni del Csm. “Ubi non dixit non voluit”. Se poi la prassi ha finito con l’attribuire al Csm poteri che non gli spettano, allora vuol dire che è stata scavalcata la Costituzione. E si può aggiungere che vi è stata una prassi incostituzionale.

Il Csm, la cui sede è stata, in questi giorni, intitolata alla nobile figura di Vittorio Bachelet, vicepresidente del Csm barbaramente ucciso dalle brigate rosse nel 1980, è presieduto dal presidente della Repubblica. Il quale è intervenuto, in occasione della cerimonia di intitolazione della sede, per dire, anzi per ricordare, quali sono i compiti del Csm e dei suoi componenti, laici e togati. Compiti di alta amministrazione e giammai di indirizzo politico, per quanto riguarda le attività dell’organo. Funzione di garanzia e di grande responsabilità per l’equilibrio fra i poteri costituzionali, per quanto attiene i compiti dei consiglieri. Che non devono distinguersi in base alla loro provenienza, in quanto eletti dai magistrati ed eletti dal parlamento, e non devono cercare consenso per sé o per altri soggetti.

È questo un punto nodale del discorso di Mattarella. Il consenso, infatti, passa attraverso l’appartenenza alle correnti della magistratura, che sono chiaramente identificabili in schieramenti politici.

La ricerca del consenso genera una competizione politica faziosa, volta a favorire o penalizzare questo o quel magistrato a seconda di quale corrente appartiene. In tal senso, gli esempi sarebbero moltissimi, specialmente nelle scelte fatte dei capi delle procure o dei tribunali; da ultimo, anche nelle nomine dei componenti togati alla scuola superiore della magistratura.

Il problema dell’ordine giudiziario italiano, a differenza di altre esperienze straniere, è quello di essersi avviluppato in una logica di appartenenza correntizia, che destabilizza la figura e il ruolo del magistrato. Perché mette a repentaglio il suo essere e dover essere indipendente, imparziale e soggetto solo alla legge. Il sistema della “partitocrazia” correntizia si esalta in un organo rappresentativo qual è il Csm. Che finisce col diventare una sorta di parlamento dei giudici, dove si fa politica politicante e non gestione amministrativa dell’ordine giudiziario. E non si fa nemmeno politica del diritto, che tutto sommato avrebbe pure un senso. Piuttosto, le correnti si organizzano attraverso logiche di scambio, che assicurano l’interesse dei singoli o di gruppi e che, in tal modo, rappresentano la negazione del pluralismo democratico.

Questo ha detto il presidente Mattarella, che ha aggiunto e auspicato la ricerca di convergenza tra prospettive diverse. Una giusta raccomandazione, che difficilmente verrà realizzata.

E allora? Si potrebbe rilanciare una proposta, più volte avanzata: il sorteggio tra i magistrati, quale modalità per diventare componente del Csm. È il metodo migliore per sparigliare le correnti e dimostrare che il magistrato è davvero indipendente: verso l’esterno, ovviamente, ma anche verso l’interno, quindi rispetto alla propria corporazione. Giudice naturale, come lo chiama la Costituzione, vuol dire anche questo.

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